domenica 13 novembre 2011

Berlino

di Fiorenza Magnani



Il film che introduce questo post, Goodbye Lenin, è ambientato a Berlino e illustra, partendo dalle vicende di una famiglia residente a Berlino Est (il padre era però fuggito all'Ovest), i fatti avvenuti nel 1989: caduta del muro e successiva riunificazione della Germania. In modo abbastanza avventuroso ed ironico, i figli cercano di tenere nascosto alla madre malata quanto sta succedendo perché temono che la madre, sostenitrice degli ideali del comunismo, non riesca a sopportare l'idea della riunificazione e che quindi il venire a sapere la verità possa addirittura causarle la morte.

Qui il ragazzo sta discutendo con la mamma dando le spalle alla finestra e quindi non riesce a rendersi conto di cosa stia accadendo fuori. La madre, invece, dal letto, vede srotolarsi un'enorme insegna pubblicitaria della Coca Cola sulla parete del palazzo di fronte. Anche se per noi tutto ciò sembra quasi incredibile, la signora non capisce di cosa si tratti, in quanto la Coca Cola era un prodotto esclusivamente dell'Ovest, e non sa spiegarsi cosa stia succedendo. Il figlio, osservando lo sguardo interrogativo della madre, capisce che tutti i suoi tentativi di tenere nascosta la verità dei fatti alla madre stanno andando in fumo e che questa assurda situazione non potrà più durare a lungo. Prova comunque ad inventarsi un'altra verità che possa andare bene alla madre: la Coca Cola è un'invenzione dell'Est, che però i capitalisti dell'Ovest hanno rubato. E la cosa assurda è che la madre crede anche a questa verità. È ben lontana dalla mente di questa donna, così legata alla sua Berlino Est, l'idea che invece costituiva l'obiettivo principale della maggior parte degli abitanti di questa città: fuggire all'Ovest.

Sono state infatti davvero tante le persone che, a partire dal 13 agosto 1961, data di costruzione del muro, hanno cercato in tutti i modi di fuggire dall'Est all'Ovest, anche nascondendosi in valigie o in tubi di acciaio. Alcuni ci sono riusciti, ma tanti sono purtroppo morti. Si calcola che circa un centinaio di persone siano decedute durante il tentativo di fuga. A Berlino, vicino al Checkpoint Charlie, troviamo esposta, tra alcune altre, la foto della prima vittima in assoluto: un ragazzo di 18 anni morto nell'ottobre 1961. Sotto la foto, una frase: "Er wollte nur die Freiheit (voleva solo la libertà)".


foto Prius on Flickr

Oggi Berlino è l'eccentrica capitale della Germania, città in costante movimento, in continuo divenire. Tuttavia è una città che ancora oggi mostra chiaramente una spaccatura tra quella che era la parte est e la parte ovest.


L'immensa e spoglia Alexanderplatz, la cui austerità la fa sembrare ancora più grande, è in forte contrasto, ad esempio, con uno dei più famosi e noti simboli della Berlino Ovest: il Kuerfuersterdamm, (abbreviato Ku' Damm dai Berlinesi), il lunghissimo viale dello shopping, dove, per effetto della globalizzazione, si possono trovare gli stessi negozi del centro di Milano o di qualunque altra capitale europea (H & M, Zara, tanto per citarne alcuni) e dove si possono visitare enormi grandi magazzini.


Ma quando Alexanderplatz, nel tardo pomeriggio comincia ad affollarsi e ad ospitare artisti di strada di etnie diverse che si esibiscono nei modi più svariati, ma soprattutto con la musica, allora è proprio questa parte di Berlino che riesce esercitare un fascino molto più sottile: ci si sente completamente a proprio agio e ci si può dimenticare addirittura la dimensione della metropoli.


tratta da un video

Sì, perché Berlino, con i suoi 3.500.000 abitanti disseminati su di una enorme superficie, può essere considerata una metropoli a tutti gli effetti e, solo visitandola, si può comprendere che solo quella città, e nessun'altra grande città tedesca, avrebbe potuto assolvere il compito di capitale della Repubblica Federale Tedesca.


Un discorso a parte merita la Potsdamerplatz, la piazza di Berlino forse più affascinante, dove, più che in qualunque altro posto della città, si può notare la voglia e la forza con cui Berlino si è risollevata dopo la quasi totale distruzione durante la seconda guerra mondiale e il desiderio di creare qualcosa di innovativo, quasi in continuo divenire. Qua spicca, accanto ad avveniristici grattacieli in vetro, la famosa cupola della Sony, che di sera dà spettacolo con i suoi colori continuamente cangianti. Ma, per non dimenticare, accanto alla ricostruzione è stata lasciata una traccia: resti di un antico palazzo, i cui occupanti durante i bombardamenti rimasero uccisi.


E, sempre su quella piazza, è stato lasciato sull'asfalto il segno del passaggio del muro, perché anche lì la città era stata spaccata in due. Infatti il 13 agosto 1961 famiglie che vivevano a pochi metri di distanza, si sono trovate improvvisamente separate da una barriera di cemento e di filo spinato. Capitava così che anche membri di una stessa famiglia, fratelli e sorelle, si trovassero ora nell'impossibilità di potersi frequentare e vedere.


Berlino, con i suoi otto secoli di età, è una città piuttosto giovane rispetto a tante altre metropoli europee, ma non ha eguali per ricchezza di vissuto e per i colpi inferti dal destino: divisa in due già alla nascita, in Berlino e Coelln, i due nuclei originari, e ancora divisa in due dopo la seconda guerra mondiale. Divisa ed isolata per decenni, Berlino è riuscita a risollevarsi e sta tuttora risorgendo: giovane e dinamica più che mai.


La pulsante vitalità della città si avverte nei mercati dell'arte, nei grandi viali, nei 7000 Kneipen (birrerie) e ristoranti aperti ininterrottamente. E' qui che Berlino sottolinea il suo carattere aperto e cosmopolita: dove altre città tedesche, come Monaco, Amburgo, Colonia o Francoforte, possono chiamarsi "grandi città", Berlino è metropoli, una metropoli "multikult", cioè di carattere multiculturale, e multietnica. Tutto ciò non influisce soltanto sull'atmosfera delle piazze o dei locali, oppure sull'offerta culinaria berlinese, ricca di raffinate impronte internazionali, ma anche e soprattutto sull'arte e la cultura.

Anche in questi campi la capitale tedesca non ha rivali: nel 1988 fu eletta "Città europea della cultura". Ma non basta: Berlino propone tutte le sere oltre sessanta teatri ed una dozzina di sale da concerto. La Staatsoper "Unter den Linden" è il teatro lirico di Berlino più ricco di tradizione; assieme alla "Deutsche Oper" e alla "Komische Oper" forma un trio lirico di valore internazionale. Incredibilmente varia si presenta anche l'offerta artistica e dei musei. Gli oltre 170 musei offrono all'ospite la possibilità di imbattersi in resti preistorici o testimonianze del passato più recente, in splendidi Rembrandt e Picasso. Sono spesso castelli circondati da splendidi giardini ad ospitare le collezioni storiche ed artistiche rinomate in tutto il mondo.


Tra le tappe da non perdere della Berlino museale spicca l'Isola dei Musei, mentre il più recente museo è il museo del Film, all'interno dello spettacolare Sony Center sulla Potsdamerplatz (di cui si è parlato sopra) che dedica, tra l'altro, un'ampia mostra permanente alla celebre Marlene Dietrich.

Un'altra forza di attrazione turistica è rappresentata dall'insieme architettonico ricco di contrasti tra splendidi edifici storici ed innovativi progetti moderni. Uscita dal baratro in cui era precipitata durante la seconda guerra mondiale prima e la guerra fredda poi, con la caduta del muro e la consacrazione a capitale, Berlino ha vissuto infatti un'eccezionale rinascita architettonica. Famosi architetti di tutto il mondo hanno accettato questa sfida.


La Potsdamerplatz, cuore dell'architettura moderna berlinese, il Reichstag con la trasparente cupola in vetro, il museo Checkpoint Charlie sono solo alcuni esempi degli straordinari progetti che hanno assegnato a Berlino il titolo di "Metropoli mondiale di architettura". Tra i "must" dell'architettura classica ricordiamo la porta di Brandeburgo, simbolo della città.


la Porta di Brandeburgo

Berlino è anche però una metropoli sorprendentemente ricca di spazi verdi. Per scoprire tutte le sue molteplici facce, dai progetti architettonici agli angoli naturali di grande bellezza paesaggistica, l'ideale è una gita in battello.


foto myberlino

Quasi un terzo del territorio berlinese è costituito da boschi e laghi, collegati tra loro da una fitta rete di piccoli fiumi e canali; i ponti sono addirittura più numerosi che a Venezia. La rete dei corsi d'acqua percorribili dai battelli turistici è di circa 200 km; imbarcarsi su uno di questi permette di vedere una nuova ed affascinante prospettiva di una città che non è da scoprire e capire in pochi giorni: Berlino infatti è una metropoli che cambia, apparendo ogni giorno diversa persino a chi vi abita e vive.



Scheda riassuntiva della Germania


lunedì 7 novembre 2011

Eliminare gli sprechi



L'Impronta Ecologica permette di determinare qual è la superficie, in termini di terra e acqua, di cui la popolazione umana necessita per produrre con la tecnologia disponibile le risorse che consuma, e per assorbire i rifiuti prodotti. Essendo la popolazione mondiale di 7 miliardi, per poter vivere utilizzando le risorse disponibili sulla Terra ciascuno ha a disposizione 1.8 ettari globali.

Provincializzando la questione, considerando quindi il territorio nazionale, ogni italiano ha a disposizione solo 1,1 ettari di terreno, eppure il consumo medio procapite è di 3,1 ettari. Qualcosa non va, giusto? Anche perché, se consumiamo più di quanto disponiamo, vuol dire che consumiamo territorio a scapito di altre persone, perché il pianeta è uno solo!

La salvaguardia del nostro Pianeta e l'equa distribuzione delle risorse passano necessariamente dalla riduzione dei consumi e degli sprechi: un capovolgimento di prospettiva, rispetto al paradigma della crescita economica, nel quale siamo immersi.

Propongo qui tre filmati, a titolo di esempio, che permettono di riflettere su alcune modalità con cui si provoca lo spreco, senza produrre un miglioramento della qualità della vita, e con profonde ripercussioni negative.

Il primo di questi filmati riguarda l'industria dell'acqua minerale: "La storia dell'acqua in bottiglia" (durata 8' circa). Il video è americano, ma i contenuti sono sovrapponibili alla realtà italiana.



Il secondo filmato si occupa dell'industria dei farmaci: "Inventori di malattie" (durata 52' circa). Il video descrive la realtà americana, ma l'aggressività delle politiche commerciali delle multinazionali farmaceutiche ci obbliga alla vigilanza (negli ultimi dieci anni il consumo di psicofarmaci in Italia è raddoppiato!).



Il terzo filmato riguarda l'industria dell'elettronica: "Obsolescenza programmata" (durata 52' circa). Il reportage è girato in Italia. Nella nostra scuola qualcosa si fa: ogni classe ha un computer proveniente dal recupero di PC dismessi da aziende, su cui è installato Ubuntu, un sistema operativo 'leggero' (che occupa poca memoria), libero e gratuito.



E i rifiuti dell'industria elettronica dove vanno a finire? Ne parlerò...

Ringraziamenti:
Carlo Gandolfo, per la segnalazione dei video che compaiono in questo post

giovedì 22 settembre 2011

Troy Anthony Davis è stato ucciso




Il video è tratto dal film Dead man walking del 1995, con una grande interpretazione di Sean Penn.

Un grido altissimo di denuncia contro la pena di morte.

Oggi alle 2, ora italiana, nonostante

  • la pena di morte sia universalmente riconosciuta come una barbarie
  • la risoluzione dell'ONU per una moratoria internazionale delle esecuzioni capitali
  • gli appelli internazionali
  • il condannato abbia sempre proclamato la propria innocenza
  • la colpevolezza di Troy Davis fosse basata su un processo indiziario
  • i testimoni al processo abbiano dichiarato di essere stati indotti dalla polizia a testimoniare il falso
  • molti testimoni abbiano ritrattato la loro deposizione

nonostante tutto questo, lo stato della Georgia ha ucciso Troy Anthony Davis.




Avevo trovato in rete una trascrizione (parziale, ma ricca) delle "Riflessioni sulla pena di morte" di Albert Camus, e l'avevo collegato a questo post. A distanza di tempo ho controllato il link, e al suo posto ho trovato la pubblicità di un negozio di scarpe. Sono sconcertata. Questo lo devo a una legge europea sulla proprietà intellettuale. Sono veramente demoralizzata. Qui cerco di diffondere le idee sui diritti dell'uomo e le leggi europee mi negano questa possibilità. Grrrrr

Non mi resta che consigliare la lettura di questo piccolo saggio, molto lucido e illuminante, che deve essere acquistato.

Su Wikipedia la mappa degli Stati del mondo in cui è ancora in vigore la pena di morte.

giovedì 15 settembre 2011

Crescere, crescere, crescere. Crescere?





Tre anni fa, il 15 settembre 2008, la banca Lehman Brothers, la quarta banca americana, annunciava la bancarotta, e, dopo pochi giorni, altri importanti centri della finanza mondiale hanno seguito la stessa sorte. Con un travolgente effetto domino questi eventi hanno scatenato una crisi economica mondiale, che stiamo scontando tutt'oggi.

Il video che vi propongo è una presentazione del film "Inside Job", un documentario scritto, diretto e prodotto da Charles Ferguson, e vincitore dell'Oscar nel 2011, che descrive i comportamenti spregiudicati (per usare un eufemismo) dei centri della finanza, che hanno condotto al tracollo, e ne individua le cause nella politica di deregolamentazione economica avviata, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, dagli USA e dalla Gran Bretagna, e poi irradiatasi ovunque.

La deregulation si basa sulla teoria economica neoliberista, che rivendica la liberazione dell'economia dalle ingerenze dello Stato, attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici, la liberalizzazione di ogni settore non strategico dell'economia e della finanza, la fine di ogni chiusura doganale.

Secondo i teorici, il libero mercato è in grado di auto-regolarsi, garantendo, attraverso la concorrenza, il progresso e la prosperità per tutti.

Dopo trent'anni di applicazione di questa dottrina possiamo osservare gli effetti che ha prodotto:

  • l'aumento del divario fra i paesi poveri e i paesi ricchi;
  • l'aumento del divario fra poveri e ricchi in uno stesso paese;
  • lo spreco dissennato delle risorse della Terra;
  • la mercificazione dei beni indispensabili alla sopravvivenza delle popolazioni;
  • la negazione del futuro per i giovani, l'elevato tasso di disoccupazione, il super-sfruttamento di chi il lavoro ce l'ha;
  • le guerre;
  • la fuga, quando riesce, dei disperati della terra dalle guerre e dalla fame.

Tutti questi punti meritano di essere approfonditi, e lo farò in futuro. Quello che desidero comunicare ora è che sono allibita quando sento, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, che la ricetta per uscire dalla crisi attuale consiste nella ripresa della crescita economica, crescita della produzione e dei consumi. E ce lo dicono tutti: destra, sinistra, centro; industriali, commercianti, sindacati. Ma non è possibile! Non possiamo più crescere, non dobbiamo!

Non è che io sia l'unica a pensarla in questo modo, eh?! Ad esempio, navigando nella rete mi è capitato di imbattermi in questo messaggio in bottiglia, che dice chiaramente: non possiamo più far conto sul petrolio, dovremo utilizzarlo per le necessità primarie. Dobbiamo imparare e re-imparare a risparmiare. Chi si arricchisce con gli sprechi del consumismo non siamo noi.

La crisi che stiamo attraversando è sì una crisi economica, ma anche ecologica e di valori. La crisi potrebbe essere considerata un'opportunità: riconsiderare i nostri stili di vita potrebbe permetterci di vivere meglio. Pensiamoci.

giovedì 8 settembre 2011

Alleati con l'Estasia, in guerra con l'Eurasia. No, il contrario.




Il video che introduce questo post è tratto dal film 1984, un adattamento dall'omonimo romanzo di George Orwell, scritto nel 1948. Qualcuno ha voluto identificare la società descritta da Orwell nell'URSS di Stalin, tuttavia non può sfuggirci quanto gli scenari profetizzati assomiglino sempre più al nostro presente. Spero non al nostro futuro!

Uno degli aspetti principali trattati nel romanzo riguarda la manipolazione delle menti, perpetrata attraverso la costante e martellante presenza di un'informazione, contraddittoria e a senso unico, diramata da schermi onnipresenti. Il controllo è esercitato anche grazie a telecamere che spiano ogni attimo dell'esistenza delle persone. È questo romanzo che ha ispirato il reality 'Il grande fratello' :'-(.

È probabile che in futuro io utilizzi nel blog altri spunti di riflessione da quest'opera, ma ora desidero concentrare la mia attenzione sul tema della guerra.

Il quadro geopolitico disegnato da Orwell è quello di una Terra è divisa in tre grandi potenze totalitarie perennemente in guerra tra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia, che sfruttano la guerra per mantenere il controllo totale sulla società. Le guerre si svolgono fuori dai confini dei tre grandi stati, in quelle terre di nessuno e disputate che sono l'Africa centrosettentrionale e l'Asia centrale, e lo slogan che le accompagna è la guerra è pace.


La manipolazione sull'informazione arriva a capovolgere il passato; per esempio, se si ribaltano i fronti e l'Eurasia diventa improvvisamente alleata dopo esservi stati in guerra fino a un momento prima, nessuno deve rilevarne la contraddizione e portare memoria della precedente ostilità, per cui diverrà vero che l'Eurasia è sempre stata alleata dell'Oceania e che non vi è mai stata inimicizia tra i due stati.

Quello che desidero evidenziare, sono le analogie fra questo scenario e il nostro presente.



1) LOCALIZZAZIONE DEI CONFLITTI

La mappa che segue rappresenta gli attuali conflitti in corso nel mondo nel 2011 e il numero di vittime che hanno generato sino ad ora (via peace reporter).


Sono localizzati nelle terre di nessuno di Orwell, quelle in cui le superpotenze si disputano il predominio. E non è indicata la Libia, ad esempio. Non sono mai complete queste mappe.



2) LA GUERRA È LA PACE

La guerra è la guerra, ovviamente. Ma qualcuno ha mai sentito che, a parole, qualche militare dei paesi occidentali sia stato inviato in guerra? Essi partecipano sempre a missioni di pace.

Sono a conoscenza di persone che si recano in zone di conflitto in missione di pace. Non sono armati. Sono i volontari di Medici Senza Frontiere, Emergency, Amnesty International, AMREF e altre organizzazioni umanitarie che si prodigano a favore delle persone, indistintamente, e che non chiedono in cambio concessioni per lo sfruttamento delle materie prime o accordi commerciali per la vendita di ogni cosa, armi incluse (sigh!).


Gli interventi militari sono sempre accompagnati o seguiti da accordi economici, e poi non importa che da questi accordi l'Occidente ne esca più ricco e i popoli 'aiutati' più poveri. Gli affari sono affari, quante volte ce lo ripetono.

Questi, ad esempio, sono gli "Amici della Libia":


Che brutto spettacolo che hanno dato mentre si disputavano il gas e il petrolio libici: a gara per dimostrare chi era 'più amico', e quindi meritorio della fetta più grande.



3) AMICI. NO, NEMICI. NO, AMICI. NO, NEMICI (GHEDDAFI)

Anni '80: Gheddafi è nemico numero uno degli Stati Uniti d'America. La Libia, per Ronald Reagan, è 'stato canaglia'; le Nazioni Unite approvano la Risoluzione 748, che sancisce un pesante embargo economico contro la Libia.

A cavallo del nuovo millennio: l'ONU decide di ritirare l'embargo alla Libia e George Bush di ristabilire pieni rapporti diplomatici. Il governo italiano, ai tempi di D'alema, riavvia rapporti stretti con la Libia, fino a diventare di tenera amicizia nel 2008 con Berlusconi.


Il presente: La NATO, autorizzata da una risoluzione dell'ONU, interviene militarmente a fianco dei ribelli libici, per abbattere il regime di Gheddafi, "alla luce delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani".

L'unico mio commento su questo punto è che i diritti umani in Libia sono sempre stati violati, come continuamente denunciato dalla controinformazione, rimasta inascoltata.


Quello che vorrei mettere a fuoco è che la voce dell'informazione è fortemente condizionata da chi possiede i media, e che le voci critiche, laddove possono esprimersi, hanno una debolissima risonanza.

domenica 21 agosto 2011

Le pratiche dell'allevamento




Scrivo questo post per ampliare e completare alcune informazioni introdotte con l'articolo La rivoluzione del cibo, di Lorenzo Braghieri.

L'allevamento degli animali è effettuato per la produzione di carni per l'alimentazione, per la produzione di derivati (latte, uova, lana, pelli), o per l'impiego come aiuto nel lavoro.

In alcune regioni si pratica l'allevamento estensivo: vasti terreni non coltivati consentono agli animali di pascolare liberamente. La resa di questo tipo di allevamento è molto bassa, ma occupa il 26% delle terre emerse libere da ghiacci. Questo tipo di allevamento si attua, ad esempio:

  • nelle aree semi-aride dell'Asia o dell'Africa, dove si ha una pastorizia nomade;
  • nelle piccole aziende familiari dell'Europa mediterranea;
  • nelle vaste praterie dell'America settentrionale e meridionale, dove prevale il latifondo.

Deve trattarsi di un'attività molto redditizia quella attuata in Sudamerica, visto che ampie fasce di foresta amazzonica sono convertite a terreno per l'allevamento, o per l'agricoltura per sostenere l'allevamento intensivo.

La mappa mostra i dati della riforestazione: i valori negativi indicano la riduzione delle aree forestali (in arancione e rosso).


L'allevamento intensivo riguarda soprattutto bovini e suini e si attua in aree ad alto sviluppo tecnologico, perché l'ingrasso avviene "scientificamente". Gli animali sono confinati in uno spazio molto ridotto, e sono alimentati con mais e soia, che permettono all'animale di raggiungere in un anno il peso che, con l'alimentazione a foraggio, è raggiunto in cinque anni.


E queste sono pratiche legali. Sono illegali l'uso di ormoni, che determinano l'aumento di peso per aumentata ritenzione di liquidi, e l'impiego di farine animali nell'alimentazione, prodotte coi resti di animali e che hanno fatto propagare il morbo "della mucca pazza", e l'uso di antibiotici ad uso auxinico (=per aumentare la crescita). Tuttavia, è molto difficile il controllo sull'uso di antibiotici, perché sono usati in zootecnia anche per la cura delle malattie di origine batterica, frequenti proprio per le condizioni di vita degli animali.

Per comprendere la forza delle lobbies degli allevatori, rimando a un articolo sulla disputa fra Canada e Europa, durata 13 anni, sul divieto dell'uso dell'ormone della crescita.

Gli allevamenti intensivi non solo non sono autosufficienti per l'alimentazione degli animali, ma anche per lo smaltimento delle deiezioni, che sono potenzialmente veicoli d'infezioni, e che se non vengono isolate, provocano la contaminazione delle falde acquifere.

Tutte le problematiche appena descritte crescono esponenzialmente nel caso degli allevamenti industriali, gli allevamenti senza terra, chiamati così perché sono realizzati in modo completamente indipendente dal contesto geografico e climatico in cui si trovano; in queste condizioni vengono allevati principalmente maiali, polli e galline ovaiole.

Questi animali vengono cresciuti all’interno di grossi capannoni illuminati e areati artificialmente e nutriti con alimenti importati da altri luoghi, all'interno di gabbie che impediscono il movimento


allevamento intensivo di maiali


allevamento intensivo di galline ovaiole



IMPATTO AMBIENTALE DEGLI ALLEVAMENTI


Come già detto:

  1. sottrazione di enormi estensioni di terreno all'agricoltura, che potrebbero sfamare la popolazione;
  2. deforestazione, per convertire aree boschive a terreno da pascolo o per le colture dedicate all'allevamento, la riduzione della foresta riduce il consumo di $ CO_2 $ aumentando l'effetto serra;
  3. inquinamento delle acque con l'eliminazione delle deiezioni, rendendo inutilizzabili le falde e, col ciclo dell'acqua, portando ai laghi e ai mari minerali che causano il fenomeno dell'eutrofizzazione;
  4. la sofferenza prodotta ad altri esseri viventi;
e inoltre:
  1. lo sviluppo di specie batteriche resistenti, a causa del massiccio impiego di antibiotici;
  2. la riduzione della fertilità del suolo (desertificazione) nei pascoli a causa dello sfruttamento eccessivo e del calpestio del manto erboso;
  3. lo sviluppo di tossine nelle carni a causa delle condizioni di stress in cui si trovano gli animali negli allevamenti intensivi;
  4. l'immissione nell'atmosfera di $ CH_4 $ (metano), un gas serra 72 volte più potente della $ CO_2 $ (anidride carbonica), e $NO_2 $ (biossido d'azoto), gas serra 300 volte più potente della $ CO_2 $, con la proprietà di essere instabile e di ossidarsi nell'atmosfera trasformandosi in $ HNO_3 $ (acido nitrico), uno dei responsabili delle piogge acide
  5. il consumo di acqua, bene assai prezioso in larga parte del mondo. 

La FAO (Food and Agriculture Organization), ha prodotto un documento sull'impatto ambientale degli allevamenti, da cui sono tratte la maggior parte delle informazioni che qui sono riportate.


Sviluppo insostenibile - 1



Il breve brano che vi propongo è un momento molto commovente del film "2022: i sopravvissuti" del 1973.

Anno 2022: la Terra è devastata dall'inquinamento e dalla sovrappopolazione. La natura incontaminata non esiste praticamente più e il clima è stravolto in senso torrido. Le stagioni si sono ridotte ad una perenne estate che dura tutto l'anno, con 32 ºC di temperatura. New York City, dove si svolge la storia, è un formicaio di 40 milioni di abitanti pressati in fatiscenti condomini, il dominio tecnologico e il consumismo sono tramontati perché gli oggetti che hanno prodotto stanno cadendo a pezzi, per mancanza di ricambi; manca pure la corrente elettrica, per la crisi energetica causata dalla mancanza di petrolio; il cibo e l'acqua sono razionati (cit. Wikipedia).

Solomon Roth, l'anziano signore che vediamo nel video, è depositario di un terribile segreto, a causa del quale gli è insopportabile continuare a vivere. Per questo si reca al Tempio, dove viene praticata l'eutanasia. Ha diritto, prima di morire, di vedere le immagini d'archivio di paesaggi naturali ormai scomparsi.

Le immagini di questo film, che ho visto moltissimi anni fa, si ripresentano alla mia memoria ogni volta che sono testimone, diretta o indiretta, della distruzione dell'ambiente in cui viviamo, che ci avvicina agli scenari apocalittici preconizzati.



OCEANI DI PETROLIO

Dal 20 aprile al 4 agosto 2010, a causa dell'incidente alla piattaforma Deepwater Horizon della BP, si sono riversati milioni di barili di petrolio nelle acque del golfo del Messico che ancora galleggiano sulle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida, oltre alla frazione più pesante del petrolio che ha formato ammassi chilometrici sul fondale marino.




Su questa pagina sono elencati i grandi incidenti petroliferi dal 1900.



ISOLE DI SPAZZATURA

La plastica non è biodegradabile, e non deve essere bruciata perché sviluppa diossine, sostanze estremamente tossiche. Se non è riciclata resta nell'ambiente e si accumula. Si frammenta in piccoli pezzi, ma non può essere smaltita. E allora? Si sta accumulando un'enorme quantità di plastica in una vastissima regione dell'Oceano Pacifico, trascinata dalle correnti del Vortice del Nord. Oltre ad essere disgustosa alla vista, è estremamente dannosa per gli animali acquatici e gli uccelli marini, come mostrano le immagini del video seguente.


Il Pacifico è lontano? Anche il Mediterraneo è pieno di plastica. Ovunque!



DESERTIFICAZIONE


Il deserto è un luogo in cui, a causa della scarsità delle precipitazioni, dell'elevata evaporazione dell'acqua e dell'infertilità del suolo, è impedito l'insediamento umano. È un luogo di transito, ma non ci si può vivere. Ai margini dei deserti si trovano zone semi-aride, regioni ad alto rischio di desertificazione; qui le condizioni di vita sono molto precarie, i terreni hanno basse rese e, se si verificano lunghi periodi di siccità, si registrano carestie che provocano la morte per fame e la fuga delle popolazioni.

L'avanzamento del deserto dipende:

  • dal riscaldamento globale,
  • dalla riduzione delle foreste,
  • dall'eccessivo sfruttamento dei suoli, sia per l'agricoltura che per l'allevamento,
  • dal calpestio del suolo causato dal pascolo,
  • dall'eccessivo prelievo o dalla deviazione dei corsi d'acqua.

tutti fattori influenzati dalle attività umane.

Nell'immaginario collettivo si associa il processo di desertificazione al Sahel africano, invece è un fenomeno che riguarda tutti i continenti, Europa compresa. In tutti gli stati europei che si affacciano al Mediterraneo (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Turchia) è in atto una cospicua riduzione del suolo fertile. In Italia è il 27% del territorio ad essere minacciato dai processi di inaridimento, e le regioni più a rischio sono Sicilia, Sardegna, Puglia, Calabria e Basilicata.

La seguente mappa mostra la riduzione delle zone umide e l'avanzata delle zone semi-aride in Sicilia dal 1931 al 2000.




IL COLORE DEL CIELO

Uno degli aspetti più angoscianti del film "Soylent green" è l'uniformità dei colori durante il giorno, come quando la luce è filtrata da una nebbia giallognola. È così che vivono ora i Cinesi, che bruciano voracemente il carbone per alimentare le loro industrie. Per non parlare della qualità dell'aria provocata dal traffico.


Ho trovato sul web un'immagine satellitare che mostra l'enorme cappa di smog che ricopre gran parte della Cina in movimento verso gli Stati Uniti. Purtroppo l'immagine è coperta da copyright e per ottenerla dovrei pagare (uffa, questi americani). Però posso inserire il link al loro sito.

Ma questa non è Pechino, è Milano:


Oggi Milano non è così: siamo in agosto e la città è vuota. Niente traffico. Il cielo è azzurro!


Aggiornamento:

Leggo ora questo articolo dal titolo LA COSTA LAZIALE È UNA FOGNA A CIELO APERTO?. Due paginette. È solo cronaca :-(



segue...



sabato 2 luglio 2011

La rivoluzione del cibo

da merce a risorsa ecologicamente sostenibile

di Lorenzo Braghieri, @mail, pagina Facebook






La delicata questione del cibo è senza dubbio ricca di molti risvolti e si snoda su tre grandi fronti: quello socio-economico, quello sanitario e quello ambientale. La domanda più importante che dobbiamo porci è se il nostro modello alimentare attuale sia sostenibile. Da questa prospettiva, la radice di tutti i problemi sta nel fatto che il sistema capitalistico ha portato a considerare anche ciò che mangiamo alla stregua di una merce qualunque, sottomettendolo alle logiche del profitto.

CIBO E SALUTE



Innumerevoli ricerche mediche hanno appurato che l'alimentazione costituisce un aspetto decisivo della nostra salute e, in particolare, nella prevenzione di malattie tumorali, cardiovascolari, del diabete, che l'OMS stima tra i disturbi più diffusi nei paesi industrializzati. Ad esempio, una dieta corretta favorisce l'efficienza del sistema immunitario nella lotta contro le cellule tumorali che sono normalmente presenti nel nostro corpo, favorendone l'eliminazione o impedendone la degenerazione.

MODELLI DI VITA



Le nostre abitudini nutrizionali rappresentano qualcosa di più che un semplice modo di mangiare, bensì sono uno stile di vita. Basti pensare che la dieta mediterranea è stata inserita dall'UNESCO fra i patrimoni immateriali dell'Umanità, poiché garantisce il rispetto del territorio e la conservazione di attività simbolo della tradizione culturale dell'Europa meridionale. Inoltre è un regime alimentare ricco di carboidrati a lenta assimilazione, vitamine e sali minerali, ma povero in grassi: per questo la maggior parte degli esperti la suggerisce.


Un'alternativa importante è quella offerta dal vegetarianismo, che rifiuta l'assunzione di cibi animali (alcune forme consentono i derivati); le possibili motivazioni per avvicinarsi a questa "filosofia" sono molteplici:

  • da un punto di vista etico, si vuole evitare di far soffrire altri esseri viventi;


     
  • da un'ottica salutista, è stato provato che la riduzione, o meglio ancora, l'eliminazione della carne fa diminuire il rischio di malattie tumorali (infatti il consumo di tale alimento causa un abbassamento del pH dei liquidi corporei e, in tali condizioni di pH acido, si favoriscono l'invecchiamento e la degenerazione cellulare; oltre a ciò, alcune correnti della storia della medicina rilevano un collegamento tra il dilagare dei casi di cancro e l'affermazione del consumo di massa della carne) e cardiovascolari (apporto di grassi drasticamente ridotto). Inoltre carne e pesce possono essere nutrizionalmente sostituiti da alimenti vegetali;


     
  • da un punto di vista economico, la produzione della carne necessita di consumi d'acqua e di energia (dalle fasi di vita iniziali dell'animale fino al trasporto e alla conservazione) decisamente superiori ai costi dell'agricoltura e deve sfruttare superfici ben più grandi, che diventano col tempo sterili e inutilizzabili per altri tipi di produzione. Soprattutto, è curioso che, per allevare tanti capi di bestiame, si utilizzi una quantità di cereali e legumi (soprattutto soia) tale che si potrebbe sfamare un'ampia fetta della popolazione mondiale. A tal proposito, anche molti esponenti della politica internazionale hanno mostrato a più riprese la loro preoccupazione riguardo alla sostenibilità dell'attuale modello alimentare, consci del fatto che la popolazione cresce a un ritmo superiore a quello dello sviluppo delle risorse. Perciò la proposta vegetariana potrà essere un giorno la risposta alle sfide di un futuro sempre più affamato e sovrappopolato, poiché attenua l'impatto ambientale, riduce gli sprechi e i consumi, può potenzialmente sfamare più persone del sistema presente.



     

UN NUOVO RAPPORTO CON IL CIBO

A prescindere dall'adesione a questo o a quell'altro sistema nutrizionale, si dovrebbe riconoscere al cibo un valore intrinseco che vada oltre quello di scambio. Se infatti la premessa è quella di ritenere il cibo una componente puramente economica, si ammette implicitamente che un consumo maggiore, in quanto generatore di profitto, è un indice positivo; invece, la parola d'ordine delle politiche alimentari future dovrà inevitabilmente essere il "risparmio". Pertanto, all'interno dell'orizzonte capitalistico in cui i privati agiscono in vista di interessi individuali, è necessario che lo stato operi come un arbitro col compito di razionalizzare e rendere sostenibili la produzione e il consumo di cibo.
D'altro canto, l'attuale modo di gestione delle risorse alimentari rispecchia alcune linee tendenziali della mentalità occidentale: precedenza assoluta al profitto, scarsa lungimiranza e consumo indiscriminato.

Ecco perché la sfida è così grande: dobbiamo ridiscutere la nostra relazione con il cibo. Questo è l'obiettivo: arrivare a concepire il cibo come un bene a cui nessuno possa e debba rinunciare, come un prodotto che soddisfi le esigenze di ognuno nel massimo rispetto dell'ambiente, tentando di slegarlo (nei limiti del possibile) da logiche mercantilistiche che andrebbero a sottomettere la gestione di un patrimonio comune al tornaconto di pochi. Infatti, soltanto una politica alimentare sostenibile potrà evitare che gli stati debbano ricorrere a guerre per il controllo delle risorse alimentari. In ultima analisi, occorre ripensare in maniera più etica, solidale e a lungo termine all'amministrazione di un bene, come il cibo, che purtroppo ha dei limiti.

 

venerdì 1 luglio 2011

Io non voglio essere cancellata

via @metilparaben




In estrema sintesi sta succedendo questo: il 6 luglio l'AgCom voterà una delibera con cui si arrogherà il potere di oscurare siti internet stranieri e di rimuovere contenuti da quelli italiani, in modo arbitrario e senza il vaglio del giudice.

Siccome, con ogni evidenza, si tratta di una misura degna dei peggiori regimi, sarebbe il caso di rimboccarsi le maniche per evitare che venga approvata.

Cosa puoi fare:
  • vai alla pagina di Agorà Digitale in cui sono raccolti tutti i link, le iniziative e le proposte dei cittadini;
  • firma e diffondi la petizione sul sito di Avaaz;
  • partecipa e invita tutti i tuoi amici a "La notte della rete": 4 ore no-stop in cui si alterneranno cittadini e associazioni in difesa del web, politici, giornalisti, cantanti, esperti;
  • se sei un blogger scrivi un post, usando il logo che vedi qua sopra e riportando tutti i link, e diffondilo più che puoi tra quelli che conosci.
Mi sa che è ora di darsi da fare: altrimenti tra poco rischiamo di essere cancellati.
A me la prospettiva non piace per niente.
E a voi?

martedì 21 giugno 2011

Il mercato delle materie prime

di Fabrizio Di Benedetto



Basta aprire l'inserto Finanza e Mercati de Il Sole 24 Ore e andare a cercare quella pagina intitolata Commodities: termine che in italiano non si può che tradurre con "materie prime". In realtà le commodities sono quelle materie prime (principalmente agricole, metalli e combustibili) che hanno almeno due caratteristiche fondamentali: omogeneità della qualità e facilità di trasporto e conservazione.

Facciamo un esempio. Pur esistendo mille varietà di frumento e mille farine per tutti gli usi, il mercato, parola con cui intendiamo tutti i soggetti che fra loro scambiano, ha bisogno di non fare confusione e poter standardizzare i prodotti, perciò il frumento nel mondo viene diviso nelle due macro-categorie di grano duro e grano tenero. Tutto ciò che è prodotto viene marchiato con una delle due etichette e immesso sul mercato. Ovviamente, le tecnologie del trasporto hanno permesso la creazione del mercato delle materie prime che senza camion, treni, aerei, navi merci, magazzini per lo stoccaggio e catena del freddo non sarebbe mai nato.

Da tutto ciò non stupisce che il mercato delle materie prime si sia sviluppato più recentemente del mercato dei titoli di credito, delle azioni e delle obbligazioni. Può sembrare strano, ma le borse hanno prima cominciato a scambiare titoli di credito e solo dopo materie prime, anche se proprio il commercio delle materie prime è stata la prima attività dell'uomo, dopo aver imparato a coltivare ed allevare.
In altre parole, fino a che la tecnologia non ha reso possibile il trasporto di grandi quantitativi di merce (spesso deperibile), non esisteva un vero e proprio mercato mondiale di materie prime regolamentato. Beni come il grano, l'oro, il carbone ma anche la carne suina erano gestiti da mercati locali, anche di grandi dimensioni ma pur sempre locali. Certo, esistevano anche nel passato merci che per caratteristiche intrinseche potevano essere commercializzate in grandi quantitativi già dal '600 (si pensi alle spezie) e quindi essere scambiate su un mercato già globale, ma erano eccezioni.


Solo con la pace raggiunta dopo la seconda guerra mondiale, la ripresa dei commerci mondiali, le nuove tecnologie di trasporto e conservazione, si è cominciato a sperimentare un vero mercato globale delle materie prime.
A gestire questo mercato sono le borse merci (il Chicago Board of Trade e il London Metal Exchange, solo per fare due nomi), ciascuna delle quali si occupa specificamente di una materia prima o di una tipologia di queste. A Chicago, per esempio, si trattano tutte le materie agricole, mentre a Londra soprattutto metalli.
Le borse merci gestiscono le materie prime con gli stessi strumenti e con le stesse regole con cui le borse valori scambiano azioni e obbligazioni. Non è un caso. Come abbiamo detto prima: le borse cominciano a scambiare prima i titoli di credito e dopo le materie prime, perciò non stupisce che gli operatori sul mercato estendano alle commodities gli strumenti applicati da secoli ai titoli.


I livelli di negoziazione delle materie prime sono due e possiamo così definirli:
  • mercato fisico, ossia il mercato fatto da operatori che vendono e comprano le merci perché ne hanno immediato bisogno (pagamento e consegna della merce coincidono);
  • mercato a termine, ossia il mercato fatto da operatori che vendono e acquistano ora, ma per merce di cui necessitano fra un certo periodo di tempo (pagamento e consegna della merce non coincidono).

In un mercato tradizionale il livello fisico dovrebbe essere prevalente, ossia dovrebbe essere il mercato in cui si fissa il prezzo di riferimento. Tuttavia, nel mercato delle materie prime (e non solo) il livello prevalente è quello delle contrattazioni a termine, per un motivo fondamentale. Il mercato a termine è essenzialmente un mercato di assicurazione del prezzo. Ecco un esempio: sono un produttore di pane ed ho bisogno di alcune tonnellate di grano fra sei mesi, perché in quel periodo avrò una maggiore richiesta di pane avendo firmato nuovi contratti di fornitura. Ho però sentore che fra sei mesi il grano mi costerà più di ora, perciò compro ora il grano fissando il prezzo, ossia pagandolo a prezzo di oggi e me lo farò consegnare fra sei mesi. Se la mia paura di aumento del prezzo era fondata allora avrò risparmiato, avrò assicurato il prezzo ottimale, altrimenti avrò perso. Questo è il mercato.

Visto che tutti vogliono assicurarsi il prezzo migliore, tutti gli operatori scambiano a termine (oltre che sul mercato fisico) e perciò il mercato in cui si forma il prezzo è quello a termine, non quello fisico.

Ovviamente, non tutte le commodities si scambiano nelle borse merci. Esistono, per fortuna, piccole imprese che producono piccole quantità di grano (per rimanere nell'esempio), magari di grande qualità, che possono vendere il loro frumento fuori mercato. Tuttavia, quando il prezzo del grano è fissato a livello mondiale, il piccolo imprenditore non potrà differenziare troppo il suo prezzo rispetto a quello ufficiale. Io, piccolo coltivatore che produco grano duro, potrò farlo pagare un po' di più rispetto ai miei concorrenti più grandi, ma non potrò farlo pagare molto di più perché altrimenti i miei clienti andranno a rifornirsi da questi, che glielo fanno pagare meno.

Insomma, il mercato regolamentato, che scambia enormi quantitativi di merci quotidianamente, influenza anche il piccolo imprenditore. Come pure la nostra spesa di tutti i giorni. A sua volta questo mercato è influenzato dai grandi gruppi (agricoli, di estrazione dei minerali, dei metalli e dei combustibili) e dagli stati che spesso aiutano, sovvenzionano, le società private (agricole in primis).


Per concludere, solo un piccolo accenno a quel che prende il nome di speculazione. In tutti i mercati se ne parla, ma in quello delle materie prime la speculazione fa scattare nelle persone un maggiore senso di riprovazione morale perché si toccano questioni strettamente attinenti alla vita. Tuttavia, la speculazione è, nella sua accezione da manuale, esattamente quel che abbiamo visto parlando del mercato a termine. Un operatore che ha bisogno di merce cercherà di pagarla il meno possibile, scommettendo che pagandola prima o dopo una certa data potrà risparmiare. Spesso la controparte di questo operatore, che vuole fissare il prezzo, non è anche lui un operatore che tratta fisicamente la merce, ma uno speculatore. Pertanto la figura dello speculatore è essenziale sul mercato, proprio per garantire agli operatori non speculatori di garantirsi il prezzo migliore. La speculazione diventa un problema quando il numero di speculatori supera enormemente il numero di operatori che scambiano realmente le materie prime. Solo in questo caso (ed è purtroppo il caso dell'attuale mercato mondiale delle commodities) la speculazione diventa un problema per la vita delle persone, perché i prezzi non seguono più la domanda e l'offerta del bene ma le prospettive di maggiore guadagno degli speculatori.

Il mercato delle materie prime può subire forti oscillazioni di prezzo. Tanto per la speculazione quanto per fenomeni naturali (pensate a inondazioni che rovinano interi raccolti) ed è perciò un mercato estremamente delicato. Non è un caso che il G20 (la nuova struttura che riunisce i capi di governo dei principali paesi al mondo, che ha ormai soppiantato il G8) abbia fra i punti più caldi della sua agenda degli ultimi anni la riforma dei mercati finanziari e quindi anche di quello delle materie prime. Nuove regole per limitare la speculazione, ossia ricondurla a livelli fisiologici, e impegni sul piano dei cambiamenti climatici per limitare il loro impatto sul prezzo delle materie prime.

La strada è lunga e gli interessi contrastanti molti. Ci sono stati che ancora non sono convinti della necessità di nuove regole finanziare più rigide (USA) e stati che hanno paura che gli accordi per limitare i cambiamenti climatici possano frenare la loro corsa verso il progresso (Cina). In mezzo a questa indecisione, c'è però un mondo (in particolare l'Africa) che a causa di una minima variazione del prezzo del grano rischia di morire di fame, quando già ciò non succede.



Al termine di questo articolo di Fabrizio aggiungo il video che ha trasmesso Report dal titolo Let's make money, in cui il cinismo del mondo della finanza è posto confronto con l'immensa povertà dei paesi che eufemisticamente sono detti emergenti.

domenica 19 giugno 2011

L'uranio del Niger, un caso emblematico



Il video che introduce questo post è stato girato in Niger dagli attivisti di Greenpeace, attorno alla miniera di uranio di Akokan, per dimostrare che, a causa dell'attività estrattiva, nell'ambiente ci sono livelli di radiazioni ionizzanti che la popolazione deve sopportare molto al di sopra dei limiti consentiti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'OMS; un disastro ambientale che la francese Areva, responsabile degli scavi, ha dovuto ammettere.

L'Areva è uno dei colossi impegnati non solo nell'estrazione della materia prima, ma anche nella costruzione delle centrali nucleari che dissemina in tutto il mondo, e con la quale il governo italiano aveva un accordo perché fossero edificate anche nel nostro Paese. Grazie all'esito del Referendum del 12-13 giugno 2011, abbiamo scongiurato questa eventualità.

La mappa mostra la localizzazione delle miniere di uranio di Arlit e di Akokan, rispetto alla capitale, Niamey.


Le attività economicamente rilevanti del Niger sono la produzione di arachidi e l'estrazione di uranio, entrambe destinati all'esportazione. La popolazione vive con un'economia di sussistenza con ricorrenti crisi legate alla siccità, dato che il paese include una parte del deserto del Sahara e una parte del Sahel. Solo la parte meridionale possiede la vegetazione più abbondante della savana.

Gli indici di sviluppo di un paese possono essere misurati

  • con i dati economici, ad esempio, col PPA*, pari a 600\$ del Niger, contro i 31.200\$ dell'Italia;
  • con dati demografici, il più significativo dei quali è la mortalità infantile, pari a 116.66‰, contro i 5.51‰ dell'Italia;

*PPA = è il Prodotto Interno Lordo Pro Capite e si tratta di un dato medio annuo, che non tiene conto delle disuguaglianze all'interno della popolazione, ma è commisurato al potere d'acquisto della moneta, quindi confrontabile con quello dell'Italia.

Se la cosa non avesse risvolti tragici, mi verrebbe da dire che viviamo in un mondo bizzarro. Questo paese, il Niger, è uno degli ultimi al mondo a causa della povertà, pur essendo uno dei maggiori esportatori di uranio, una risorsa ambitissima dall'Occidente. Perché?

Perché i nigerini non sapevano nemmeno di averla questa ricchezza, e poi non avrebbero saputo nemmeno che cosa farsene. Il loro problema è l'acqua.

Dunque, arriva una società straniera, francese (c'è l'opzione del paese ex colonizzatore), finanzia le ricerche, compra la concessione per lo sfruttamento del giacimento, estrae la materia prima e paga una percentuale sulle risorse estratte.

Chi incassa? Il governo, che amministra le ricchezze dello stato. Chi è al governo? Wikipedia raccoglie alcuni elementi della travagliata storia politica del paese. In sintesi si tratta di gruppi di potere, che si arricchiscono personalmente e che spendono una buona parte degli introiti in armi per difendere il loro potere. A un gruppo se ne può sostituire un altro, ma la sostanza non cambia. L'importante è la compiacenza nei confronti della Francia, in modo che possa continuare lo sfruttamento delle risorse, in cambio di briciole.

Premesso che ritengo che l'energia nucleare non sia una buona fonte di energia, in ogni caso, se le cose andassero per il verso giusto, la società che sfrutta l'uranio del Niger (o qualsiasi altra risorsa) avrebbe dovuto mettere al servizio le proprie tecnologie per farvi arrivare l'acqua, per permettere lo sviluppo di un'agricoltura che consenta di sfamare la popolazione.

O forse l'acqua ha un costo maggiore dell'uranio? Un paese che fornisce uranio al mondo non può ricevere in cambio acqua. Chi decide i prezzi?

In uno dei prossimi articoli sarà affrontato questo interrogativo.



Link:

L'inchiesta di Greenpeace in Niger
Breve scheda riassuntiva sul Niger
Indici di sviluppo
Storia del Niger
 

sabato 18 giugno 2011

I diritti degli omosessuali

 

Il video contiene due brevi brani, uno in apertura e l'altro in chiusura, del film "Fragola e cioccolato" del 1994, che affronta il tema del grave disagio sofferto dagli omosessuali a Cuba.

La discriminazione nei confronti degli omosessuali non conosce confini, ed è paragonabile a quella nei confronti dei Rom e dei Sinti, di cui parlo in un altro articolo di questo blog. Anche gli omosessuali sono stati inclusi nella campagna di sterminio nazista.

Le modalità con cui è esercitata la discriminazione verso gli omosessuali comprendono l'emarginazione, il pestaggio squadrista, la "rieducazione" psichiatrica, la "rieducazione" ideologica nei campi di lavoro, come descritto nel film che introduce questo post, la negazione dell'affettività da parte della Chiesa, la penalizzazione in alcuni Stati.

I link che ho indicato si riferiscono ad esempi singoli. Per comprendere il problema, probabilmente, basterebbe raccogliere una testimonianza di un omosessuale, a partire già dal vissuto in famiglia, a scuola, al lavoro.

Come conseguenza dell'atteggiamento omofobico di una maggioranza su una minoranza molto consistente (il 5% della popolazione complessiva secondo l'OMS, ma probabilmente è sottostimata), gli omosessuali spesso negano o nascondono la loro scelta sessuale. A partire dagli anni '70, prima timidamente, poi in modo sempre più imponente, si sono organizzate manifestazioni denominate Gay Pride (fierezza omosessuale), che obbligano la società a confrontarsi con il problema anziché rimuoverlo.

L'Euro-Pride del 6 giugno 2011 si è svolto a Roma, ha visto la partecipazione della popstar Lady Ga-Ga con un milione di persone provenienti da tutta Europa, in un clima molto festoso, ma senza nascondere che questa giornata è celebrata per combattere per i diritti dei LGBT (lesbiche - gay - bisessuali - transgendre).


Una sempre più diffusa cultura del rispetto della persona umana in tutte le sue espressioni ha portato alla risoluzione contro le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale approvata dal Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU.

"Il documento impegna le Nazioni Unite a preparare per la prima volta un rapporto dettagliato sui problemi e le sfide che lesbiche, gay, bisessuali e transgender devono affrontare per veder riconosciuti i loro diritti e quali soluzioni potranno essere adottate per la parità. Il rapporto dovrà essere preparato entro la fine dell’anno. La risoluzione chiede anche che sia formato un comitato per aiutare l’Alto Commissario per i Diritti Umani ad avviare un «dialogo costruttivo, informato e aperto sulle leggi» che discriminano gli omosessuali." (Via Il Post)

A conclusione una mappa che illustra i diritti degli omosessuali nel mondo.




Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.

La struttura organizzativa delle Nazioni Unite.

Consiglio per i Diritti Umani
 

martedì 26 aprile 2011

25 anni fa, Chernobyl




Era il 1985 quando Michail Gorbaciov divenne segretario del Partito Comunista sovietico. Le sue parole d'ordine erano perestrojka e glasnost', ristrutturazione e trasparenza. Quando scoppiò il reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, il 26 aprile del 1986, l'incidente fu tenuto nascosto. Nessuna trasparenza, dunque. Un'enorme quantità di radiazioni invisibili si alzarono nell'atmosfera e si mossero trasportate dai venti nei cieli d'Europa. Poi, inevitabilmente, la notizia si diffuse.

A seguito dell'incidente 350 mila persone furono evacuate dalla zona, e fu costruito un sarcofago di cemento per sotterrare il nucleo.

Oggi i livelli di radioattività sono ancora elevati, l'area è tuttora interdetta e il sarcofago all'interno del quale c'è il nucleo ancora attivo sta cedendo, ma ancora non sono stati reperiti i fondi per una nuova copertura. La stima delle vittime è controversa (4mila?, 60mila?, 6milioni?). Si tratta del più grave incidente nucleare occorso.



Lo scenario politico in Ucraina nel frattempo è completamente cambiato. Diventata indipendente nel 1991 dopo il dissolvimento dell'URSS, mostra più interesse verso l'Europa comunitaria e la Nato che non verso la Russia, da cui dipende, però, per l'approvvigionamento energetico.

Aggiornamento giugno 2014


Questa doppia attrazione dell'Ucraina fra Russia e Unione Europea ha provocato una profonda crisi nel Paese. Quando il presidente ucraino Yanukovich ha scelto la Russia vi sono state imponenti manifestazioni a favore dell'ingresso nell'UE culminati prima negli scontri di piazza che hanno causato numerose vittime, e infine la caduta e la fuga del presidente stesso. Qui la cronaca degli eventi.



Le popolazioni russe della Crimea e dell'Est del Paese non hanno accettato il cambiamento politico, sobillate e sostenute da Mosca provocando gravi scontri.

In Crimea un referendum ha determinato il distacco della regione e la sua annessione alla Russia (gli interessi della Russia in Crimea sono altissimi: basi navali e giacimenti di carbone).

A tutt'oggi è ancora aperta la crisi delle regioni orientali dell'Ucraina.


lunedì 25 aprile 2011

Popolazioni romani



Il video, con immagini e musica tratte dal film "Gatto nero, gatto bianco" di Emir Kusturica del 1998, introduce questo post, che non parla di gente di Roma, né di Romeni (il titolo può trarre in inganno), ma di zingari. Intanto qualche breve informazione (qui un racconto più ampio):

  • in Italia vivono circa 170 mila fra Rom e Sinti, la metà di loro ha cittadinanza italiana;
  • in Europa sono 10 milioni di persone, (36 milioni nel mondo intero) che vivono in maggioranza nei paesi balcanici;
  • non sono contadini, non sono quindi legati alla terra, ma non sono più un popolo nomade; la loro precarietà è soprattutto dovuta alle persecuzioni di cui sono stati e sono tutt'ora oggetto;
  • parlano il romani, di origine indiana, frammentata in una miriade di dialetti, a causa delle contaminazioni dei Paesi in cui hanno vissuto;
  • a lungo hanno mantenuto un'identità forte, basata sulla tradizione orale, ma non sono chiusi ai non-zingari, tanto da professare la religione del paese in cui hanno vissuto in modo più duraturo (alcuni sono cattolici, altri ortodossi, altri ancora islamici...);
  • tradizionalmente le attività svolte dai Rom-Sinti sono state quelle di musicisti, giostrai, circensi (le famiglie Orfei e Togni sono entrambe di origine Sinti), fabbri, commercianti di cavalli, lavoratori di metalli (molte di queste attività non sono più spendibili oggi);
  • non rubano i bambini (che idiozia pensarlo!).

La cartina mostra la diffusione dei Rom-Sinti in Europa.


Durante il nazismo sono stati oggetto di persecuzione, ma al successivo Processo di Norimberga non furono invitati a testimoniare e non fu riconosciuto ai sopravvissuti alcun risarcimento. Solo nel 1979 l'ONU ha riconosciuto agli zingari l'identità di popolo, mentre i nazisti l'avevano già riconosciuta nel 1938, per procedere alla loro sterilizzazione e al loro sterminio.

L'UE riconosce che "essi sono spesso vittime di discriminazione razziale e sociale, senza la parità di accesso ai servizi di istruzione, occupazione, alloggio e assistenza sanitaria" e per questo sono previsti dei progetti per sostenere l'inclusione dei Rom. Alcuni paesi europei, come la Spagna o la Germania, hanno attuato delle timide politiche di sostegno (alloggi, sussidi, offerte lavorative), mentre Francia e Italia procedono agli sgomberi e alle espulsioni.

In Ungheria si va oltre. Si organizzano ronde per proteggere la maggioranza magiara dal “pericolo zingaro”.

Questo vento che soffia dal passato ammorba l'aria. Le cose vanno male? Si cerca un capro espiatorio, fra i deboli, in barba alle dichiarazioni di principio.

venerdì 22 aprile 2011

Un italiano all'estero



Il video rappresenta il grottesco tentativo di integrazione di un italiano andato a lavorare nella Svizzera tedesca.

Tratto dal film "Pane e cioccolata" del 1974, narra le disavventure di Giovanni "Nino" Garofoli. Su YouTube sono presenti diversi spezzoni, ma vale la pena di essere visto per intero.

Quello che vorrei comunicare mostrando questo vecchio, ma a mio parere attualissimo film, è una rappresentazione del punto di vista del migrante. Spesso, di fronte ad atteggiamenti xenofobi da parte degli italiani, si ricorda loro che sono stati a lungo un popolo di migranti, e hanno dovuto subire a loro volta atteggiamenti xenofobi, ma sembra che le parole non siano sufficienti. La memoria si è dileguata. Un film permette il transfert, il processo di identificazione psicologica: voi, da che parte state?

L'immagine seguente rappresenta una delle tante navi che portarono gli italiani in America. In un secolo, fra il 1876 e il 1976, sono partite dall'Italia 24 milioni di persone, fuggite dalla miseria! e questo numero non tiene conto dell'immigrazione interna, dal Sud e dal Nordest  a Milano e a Torino durante il boom economico che seguì la fine del secondo conflitto mondiale.


        
        
                 
Paesi di emigrazione italiana (1876-1976)

Europa                                   Paesi extraeuropei
Francia         
4.117.394
Stati Uniti         
5.691.404                 
Svizzera         
3.989.813         
Argentina         
2.969.402                 
Germania         
2.452.587         
Brasile         
1.456.914                 
Belgio                 
535.031         
Canada         
650.358                 
Gran Bretagna
263.598         
Australia         
428.289                 
Altri                 
1.188.135         
Venezuela         
285.014                 
Totale                 
12.546.558         
11.481.381                 

La tabella - tratta dal CD-ROM “Percorsi interculturali” allegato a D.Rigallo, D. Sasso, “Parole di Babele”, Loescher – è in “L’emigrazione italiana” di Maddalena Tirabassi, da “Euromediterraneo”, n.2, 1999.



Aggiornamento del 30 aprile 2011

Il test d'ingresso, un brano tratto dal film Nuovo Mondo di Emanuele Crialese, del 2006.



Il film racconta i sogni di una famiglia che lascia la Sicilia per l'America, il tremendo viaggio, l'umiliazione delle delle visite e del test d'intelligenza (?!), con il terrore di essere rimandati indietro.